Puntare al valore intrinseco delle Persone in quanto tali permette anche alle aziende, tramite l’Employer Branding e l’Employee Advocacy, di ottenere risultati maggiori in termine di reputazione online, taglio dei costi (sia per azioni di reclutamento che di marketing) e minore turnover.
“Il mercato del lavoro è cambiato”, suggerisce il telegiornale. A parlare è uno dei tanti filosofi del settore, uno di quelli che, studiato Kant in quinta superiore, non ha capito nulla e ha deciso di continuare a non capire nulla all’Università. Insomma, un filosofo.
Il mercato del lavoro è cambiato e la Pandemia ha accelerato il fenomeno al punto che, se a Ottobre 2020 le Persone temevano di perdere il proprio lavoro a prescindere che questo le soddisfacesse o meno, a Ottobre 2021 le stesse non sono più disposte a sottostare a condizioni contrattuali peggiorative e a favore solo dell’azienda che le ospita. Si stima che una persona su due abbia sperimentato un sintomo correlato al burnout. Evidenza che mette in luce la necessità che l’azienda si occupi finalmente del benessere delle proprie risorse umane.
A ben vedere, ciò che è cambiata è la coscienza personale prima ancora di quella collettiva. Per le organizzazioni, occuparsi di salute psicologica non è dunque più procrastinabile.
Quale azione strategica può compiere, quindi, chi non vuole perdere la propria competitività in un contesto come quello attuale, dove società ed aziende sono sempre più obbligate a (ri)conoscere (spesso a loro spese) l’importanza di chi opera con e per loro?
La risposta arriva proprio da lì dove nasce il problema: la reputazione necessita di essere innalzata e, proprio in virtù di questo, l’Employer Branding viene in soccorso.
Ma, andando per ordine, chiariamo alcuni concetti:
Cos’è l’Employer Branding? L’identità riconosciuta all’organizzazione come luogo di lavoro – e non solo tramite passaparola ma, sempre di più, anche grazie alla propria presenza online e che non deve limitarsi al solo sito aziendale (che, comunque, rimane fondamentale).
Perché è importante? A questa domanda potrei ribattere con un: quanti competitor avete e quanto siete disposti ad essere sempre la seconda (terza, quarta…) scelta di un vostro candidato – o peggio, di un vostro cliente? (CareerArc, piattaforma di Social Recruiting, stima che il 75% delle persone scelga un datore di lavoro come prima opzione solo dopo aver analizzato il suo EB. Oltre il 70% non si candida neanche se i dati non giocano a favore dell’organizzazione).
Non meno interessante, in tal senso, l’indagine di Randstad “Employer Brand Research 2020” (campione rappresentativo della popolazione di 6300 soggetti tra i 18 e 65 anni di età) per quelli che, ad oggi, sono gli aspetti maggiormente determinanti nella ricerca di un impiego.
I risultati, che ormai non si può più credere che lascino stupiti, sono i seguenti: il 52% dei candidati trova fondamentale un work-life balance garantito, il 51% non transige in merito al vivere in un’atmosfera positiva sul luogo di lavoro, il 47% misura con attenzione retribuzione e benefit, il 46% vuole accertati gli investimenti sulla sicurezza, mentre il 36% pretende chiarezza nel percorso di carriera e possibile sviluppo della stessa all’interno dell’organizzazione.
La brand reputation, ormai, è sempre più fondamentale, tanto che è entrata di tutto diritto tra le Top 3 caratteristiche che un candidato verifica in fase di ricerca. La motivazione è tanto semplice quanto ovvia: a fare gola non è più solo uno stipendio in linea alle proprie competenze (che comunque, diciamocelo, sicuramente rientra sempre tra i parametri principali), ma anche l’idea di potersi guardare allo specchio ogni mattina con orgoglio.
Ed ora un nuovo concetto entra in campo: l’Employee Advocacy – ovvero trasformare i dipendenti in… Brand ambassador. Vorrei rassicurare chiunque: solitamente non mi esprimo così tanto tramite inglesismi ma, purtroppo o per fortuna, questi termini risultano pressoché impossibili da tradurre nella nostra lingua mantenendo tutte le sfumature dei loro significati.
E quindi, arrivando al dunque, cos’è l’Employee Advocacy? Consiste nell’attuare un processo capace di rendere i propri dipendenti e collaboratori delle macchine pubblicitarie da guerra. Più questi crederanno nella realtà in cui sono e in ciò che rappresenta, più saranno portati a condividerne i valori e i contenuti anche sui loro profili social. In tal modo il marchio rafforzerà la propria reputazione e l’idea generata agli occhi di eventuali target, candidati e stakeholder sarà quella di una realtà positiva.
Vorrei che non fosse così così necessario sottolinearlo, ma il processo è giusto che avvenga spontaneamente da parte di chi crede in ciò che l’azienda dimostra.
Qualche dato interessante:
Aggiungo: quando un’azienda funziona (e no, non solo a livello economico), anche le Persone al suo interno ne risentono positivamente. Dimostrazione di ciò è riscontrabile dalla palese diminuzione di infortuni sul lavoro che queste aziende garantiscono, di pari passo ad una corretta gestione dello stress senza la quale, nei casi più gravi, gli episodi depressivi rischiano di essere dietro l’angolo.
E’ importante, quindi, che ogni realtà aziendale comprenda quanto la web reputation non sia più solo un capriccio. Nel 2021, infatti, si conferma essere una scelta strategica d’azione.
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I contributi delle Persone sono fondamentali affinché sia possibile comprendere realmente le loro problematiche a districarsi nel mondo del lavoro. Se hai commenti, domande o suggerimenti scrivici o, perché no, contattaci direttamente via Social su JobStep!