Assessment DISC: uno strumento per lo sviluppo professionale

di Daniela Cossetti Aprile 3, 2023

Stasera mi prendo una pausa per fare alcune riflessioni a proposito della mia professione negli ultimi anni e per rispondere ad una domanda che ultimamente mi sento fare in sessione dai miei Clienti. “Su cosa dovrei cominciare a lavorare urgentemente secondo Lei?”.  Mi occupo di career counseling e coaching da diversi anni e ho un passato nelle Risorse Umane. Ho colloquiato migliaia di persone per selezionarle, valutarle ed infine aiutarle a raggiungere i loro obiettivi o superare momenti di difficoltà.

Nel mio lavoro i Clienti arrivano spinti da diverse motivazioni, spesso per il desiderio di cambiare lavoro perchè quello attuale non li soddisfa più ma anche perchè hanno ricevuto un feedback negativo, che li ha colpiti e spesso lasciati increduli, ma hanno dovuto processare da soli, non aiutati dal team o dal capo che il feedback lo hanno dato. Altri cercano delle risposte per quanto riguarda il comportamento che hanno all’interno del contesto di riferimento: sentono che qualcosa non va ma non sono in grado di comprendere pienamente cosa. “Sara’ il nuovo ruolo che mi hanno offerto?”, “ L’azienda per cui lavoro è stata acquisita cambiando valori e non mi trovo più in sintonia?”, “O sono io che sono cambiato? Rispetto a cosa? E da quando?”.

 

Ma ci facciamo sempre le domande giuste? Ed è cosi’ semplice farsele?

 

Le domande che possiamo porci sono infinite. Ma facciamo un passo indietro e cominciamo da una che mi feci io anni fa mentre lavoravo nella selezione e valutazione del potenziale. Perchè anche il candidato perfetto, con hard skills attinenti al 100% al profilo di ruolo, riesce ad un certo punto a dare una risposta che lascia senza parole l’interlocutore, facendosi un incredibile autogol e ribaltando il corso dell’intervista? No, non vi parlerò delle soft skills. Se siete arrivati a leggere fino a questo punto probabilmente sapete bene che cosa sono e non vi serve un ripasso ( ma se servisse vi invito a leggere qualche ottimo  articolo di Rocco Cutrupi sull’argomento). Io vi parlerò di altro. E parto da questa domanda: perchè a volte ci sappiamo sabotare così bene?

Ricordo perfettamente il giorno in cui una di quelle interviste mi cambiò la  vita. Iniziai a pensare che c’era di più, che a volte è come se il valutatore che abbiamo di fronte (purtroppo in quel momento ero io) mettesse sale su una ferita aperta. E a quel punto, ad esempio, la domanda “perchè dovremmo assumere Lei?”  prende contorni ben diversi per il candidato. Un giudizio inderogabile. Un’offesa antica. Qualcosa che riporta il candidato in una dimensione diversa, lo vedi dagli occhi. E’ lì che c’è stata la mia svolta professionale. Ero interessata a capire come mai succede questo e, soprattutto, cosa potevo fare io per aiutare le persone a superare questo ostacolo, di cui non erano affatto consapevoli.

 

Dopo anni, nel lavoro di coach, a volte rivedo le stesse dinamiche. Non sempre chi decide di seguire un percorso di questo tipo lo fa volontariamente, e anche se lo fa per sua scelta, spesso sente di non riuscire a spiegare bene il perchè si trova in sessione. Non succede a tutti, ma per molti non è semplice partire dalla vera necessità. “ Credevo di essere un grande leader ma ora non riesco più a gestire i miei collaboratori, non li capisco e loro non capiscono me. Ma io non sbaglio nulla” oppure “Durante la mia carriera tutti i miei capi mi hanno stimato.  Non ho mai avuto problemi con nessuno di loro. Ma quest’ultimo, non so. Non capisco cosa si aspetti da me. Dovrei essere io il suo capo, so di essere molto più competente di lui”. Queste sono alcune delle frasi che mi sento dire quotidianamente. Viene presentato un output relativo al contesto ma si ha confusione su come agire in prima persona sul problema, spesso esternalizzandolo. Per prima cosa, la confusione e’ normale in alcuni momenti della nostra vita. Non importa se siamo appena usciti dall’Università’ o se siamo Executive in un’ importante multinazionale americana. Quando succede desideriamo solo, e velocemente, capire cosa non va. Lavorare su qualcosa, risolvere la situazione. Secondo, a volte ci serve un punto di partenza obiettivo e condiviso, e una persona esterna al contesto che ci aiuti a farci la domanda corretta (la favolosa arte della maieutica).

Come aiutare il Cliente a iniziare un’azione che lo porti in poco tempo ad identificare gli aspetti da migliorare e raggiungere efficacemente l’obiettivo? Personalmente, ho trovato molto utile utilizzare un punto di partenza comune, razionale. Un feedback immediato, basato su mappe cognitive e comportamenti che attiviamo in un contesto preciso, che ci permetta di sollecitare e migliorare da subito la consapevolezza di se’ e degli altri. In gergo, lo chiamiamo “apprendimento strumentato” e lo dobbiamo a Geier, psicologo e ricercatore statunitense, che ideo’ una serie di self-assessment per collegare modelli teorici ( soprattutto nell’area Risorse Umane e Management) a situazioni reali della vita e del lavoro.

Come funziona? Il Cliente compila online un test di una decina di minuti pensando ad un contesto specifico. Dopo una prima interpretazione e restituzione del report, questo strumento (Persolog ® Personal Profile su base D-I-S-C), permette di lavorare su aspetti reali e condivisi, per conoscersi meglio e superare limiti che prima sembravano poco chiari. Nell’ “apprendimento strumentato” quello che mi piace molto e’ che il Cliente partecipa in maniera attiva alla definizione del suo profilo comportamentale, e quello degli altri, in relazione ad un ambiente specifico. Lavorando su aspetti riconoscibili e reali la confusione man mano lascia spazio alla chiarezza. Il mio ruolo diventa quello di facilitatore di questa crescita consapevole ed organizzata, per portare il Cliente in poco tempo a riconoscere aspetti di se’ che poco prima rappresentavano ostacoli e tentativi di boicottaggio. E a vivere il cambiamento con partecipazione e motivazione.

 

 

Un altro aspetto importante di questo strumento, e’ che può essere utilizzato per capire il livello di stress presente, come viene agita la leadership o la followership e come si interpretano e gestiscono critiche e conflitti.  Ma non solo: come viene interpretato il ruolo attuale o quello potenziale, su quali fattori si può agire per uscire dal disagio lavorativo, quali scelte fare.

Partire da questo, nella mia esperienza, aiuta il Cliente ad allargare la visione di se’, iniziando a prendere consapevolezza del proprio temperamento, l’utilizzo dell’intelligenza emotiva, il ruolo sociale legato al “cosa sono e cosa desidero io” e “cosa ci si aspetta da me” . Permette di superare i limiti e le barriere legate alla funzione meramente aziendale, rammentando soprattutto che non siamo solo ruoli e job title. Prima di tutto siamo persone, a cui serve uno spazio di riflessione per fermarci e fare chiarezza su di noi, e su come interagiamo con l’ambiente circostante. Aiutati dalla giuste domande.

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